Articolo a cura di Michela Bergomi
Carissime Rose, è ormai trascorso un po’ di tempo dai miei primi due articoli “moringa un albero magico” e “perché The miracle Tree”, in cui potete trovare la mia storia, come questa pianta ha cambiato la mia vita e le informazioni specifiche sulla moringa e su supermix. Oggi, però, vorrei parlarvi, anche per una sorta di “par condicio” tra figli, di come la moringa è venuta in aiuto anche del mio secondogenito.
Desidero raccontarvi di un bambino molto sensibile e particolare, con un nome diverso, fuori dal comune, e che già dal momento in cui la sua mamma, non contenta di aspettare un altro maschietto, ha rivolto al cielo la richiesta che almeno fosse particolare e diverso dal primo, onde evitare di cadere in paragoni o in preferenze, ha fatto sì che fosse decisamente fuori dal comune, unico e riconoscibile nella sua diversità. Su questo mi permetto di darvi un consiglio: “fate sempre molta attenzione a ciò che chiedete, perché poi si rischia di venire esauditi ad litteram.” Infatti, si è rivelato fin da subito l’esatto opposto del fratello, che, invece, era un “soldatino”, per quanto fosse ubbidiente, ligio al dovere, pignolo, studioso e già maturo per la sua età. Un passo sempre avanti agli altri, al contrario del secondo, che, non solo aveva già un divario d’età di cinque anni dal primo, ma che, restando pure sempre due passi indietro, ne aumentava la lontananza in tappe di vita, ideologie e interessi, Lui, al contrario, sembrava volesse sempre sfidare le regole, era molto testardo, ma così grazioso, socievole, gentile e simpatico da conquistare gli adulti. Il suo modo di ragionare, a volte, sembrava non seguire un filo logico, o perlomeno, non quello a cui siamo abituati. Quindi era necessario ingegnarsi ed uscire dai propri schemi mentali, per riuscire a capirlo. Questa sua visione e diversa interpretazione delle cose, veniva poi rispecchiata anche a livello scolastico. Da un figlio “primo della classe”, che portava a casa un successo dietro l’altro, mi ero ritrovata ad affrontare le difficoltà di apprendimento e a dover cercare delle strategie alternative a quelle impartite dagli insegnanti, in modo tale che anche lui riuscisse ad assimilare le competenze scolastiche minime necessarie. Era strano vedere come da un lato fosse molto intelligente e imparasse bene con i “nostri” metodi e come, dall’altro, non riuscisse poi a mettere nero su bianco quanto sapeva. La sua vera difficoltà, in sintesi, era proprio quella “non verbale” e di non avere le nozioni all’interno del suo cervello organizzate e strutturate in contenitori con delle etichette giuste e precise, per poi andarli ad aprire nel momento del bisogno. Tutto questo era, per un bambino, molto pesante, sia perché tutto era per lui come “una montagna impervia da scalare”, sia perché si sentiva diverso dagli altri. Solo nel mondo del calcio, anche perché aveva iniziato a giocare alla tenera età di 4 anni, per acquisire più facilmente la coordinazione motoria e la cognizione spazio-temporale, sembrava essere piuttosto bravo. Il suo essere diverso, però, gli rendeva difficile venire integrato ed apprezzato completamente dai compagni di scuola e di squadra. Senza entrare nei particolari, basti dire che aveva conosciuto sulla propria pelle cosa fosse “il bullismo”. Probabilmente chi prova un disagio, una difficoltà, poi si sente inferiore agli altri coetanei e risulta essere il soggetto ideale a forme di bullismo. Episodi o comportamenti, che per alcuni possono essere emotivamente sopportabili e superabili, per altri restano una ferita profonda con una cicatrice indelebile, che rimarrà per sempre, nonostante col tempo possa assumere uno spessore meno marcato ed una colorazione più affievolita. Questa sofferenza, spesso, come nel suo caso, porta ad avere poi in un’età più grande ad avere una spiccata sensibilità, comprensione, tolleranza, disponibilità e umanità nei confronti del prossimo.
Se ciò non bastasse, all’ultimo anno di elementari, la vita lo mette di fronte ad un’ulteriore prova. Il giorno dopo una partita di calcio, nell’FC Lugano settore giovanile, in cui già avevo notato non essere particolarmente in forma, di domenica mattina, si sveglia con dolori pesanti e marcati in praticamente tutto il corpo e con una fragilità e una mancanza di forze da non riuscire assolutamente ad alzarsi dal letto. Lì è iniziato il mio secondo calvario. Da un ragazzo sano e sportivo, mi sono ritrovata un figlio che, da un momento all’altro, non era più in grado di camminare e nemmeno di reggersi in piedi, di andare a scuola o semplicemente in bagno da solo. Lo dovevo caricare “in groppa” e allo stesso modo chi, poi, lo aveva ricominciato a portare a scuola, fino alla sedia del suo banco. Il suo carattere particolare, nonostante soffrisse per dolori corporali, ma anche mentali, visto che in cuor suo aveva il terrore di non tornare più a camminare e di essere costretto su una sedia a rotelle a vita, faceva sì che nessuno capisse quanto in realtà stava soffrendo. Al punto che, sia dai medici di pronto soccorso il primo giorno, che dagli altri in seguito, il suo caso non fu preso con la giusta serietà, che, invece, meritava. Lo riempirono di antinfiammatori e antidolorifici, che ovviamente ormai il suo corpo non tollera più facilmente e quindi evita di assumere, per riuscire, dopo essere stato a letto per settimane, a ritornare almeno a scuola. Nessuno capiva che tipo di malattia potesse avere, nessuno gli dava una spiegazione. Lui, però, aveva sempre il sorriso stampato sul viso, era sempre cordiale, coinvolgeva con la sua ilarità, senza minimamente lasciare trapelare ciò che aveva nel cuore, Al punto, che ci fu chi arrivò a dare una diagnosi di una malattia psicosomatica, derivata, magari, dal fatto che non volesse più giocare a calcio. Niente di più errato, ovviamente, visto che lo sport era proprio una delle gioie più grandi nella sua vita. Il sentirsi dire da dei medici che non si è malati, che non si ha nulla, perché, in realtà, loro non trovano nulla è snervante. Sentirsi poi dire anche che deriva solo da un nostro stato di malessere psicologico, mentale o addirittura da uno stato depressivo, è addirittura deleterio. Questa esperienza, purtroppo, accomuna molti di noi. Peccato poi, che lo sconforto, lo scoraggiamento, in realtà, nella maggior parte dei casi, arriva proprio a causa di un deficit. Un deficit che, però, non è mentale nostro, bensì di diagnosi loro. In questi casi si rischia davvero di entrare in un circolo vizioso in cui allo stare male fisicamente segue un malessere dell’anima. Ma è qui che è necessario volersi bene, aiutarsi in prima persona, agire, o meglio, reagire con ottimismo e positività. Dopo circa tre settimane del nulla più assoluto, di mancanza di diagnosi medica, nonostante ancora oggi a lui non piaccia il gusto di supermix (miscela bio disponibile di moringa, contenente foglie, semi e frutto) ha iniziato a berlo e, grazie anche alla fisioterapia, il suo corpo ha reagito, fortunatamente, nel migliore dei modi. Non si tratta di un medicamento, ma semplicemente di un integratore a base di una pianta, la moringa oleifera, che tra le altre cose rafforza il sistema immunitario, è un potente antinfiammatorio naturale ed aiuta contro l’artrite reumatoide. Lungi da me affermare che sia una risposta da dare a chi è malato, ma a me basta sapere che, dopo alcuni mesi, mio figlio è tornato alla normalità e ad essere il ragazzo sano e sportivo di prima. Io so solo che nessuno sapeva cosa avesse, se non solo dopo che la pianta dei suoi piedi si è come spelata e la nostra dottoressa di famiglia d’allora ha potuto affermare di avere ormai la certezza, che si era trattato di un virus.
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